domenica, febbraio 12, 2006

Neve, 2006


Tutti i colleghi preoccupati per le condizioni delle strade, incazzati, io esco dal lavoro felice come un bambino, un auto si trascina un pezzo di paraurti appena rotto, io cerco la neve fresca per il solo gusto della traccia scricchiolante che lascia la ruota e della nuvoletta polverosa che mi lascio dietro, e mi viene voglia di fermarmi a bordo strada a fare pupazzi di neve; non vado neanche a casa ma mi fermo a bere un paio di birre.
Uno mi telefona e disdice un appuntamento, perche’, dice, e’ “impossibile” muoversi con questa strade, ma io mi muovo e vado a mangiarmi un kebab, e mi diverto a fare le sgomme di potenza alzandomi in piedi sui pedali.
Al lavoro, al bar, in rosticceria, tutti mi hanno guardato con compatimento, come si guarda un indigente o un malato grave, e mi hanno chiesto “ma come, in bicicletta con questo tempo?”.

Venerdi’ sera ho montato due pedali da BMX, e ho scoperto quanto sono comodi per ripartire nella neve fresca e quanto contribuiscono alla stabilita’ essendo cosi’ larghi e lunghi; Sono stato in giro fino tardi la notte, in solitario, con la macchina fotografica nello zaino, il casco da skateboard sopra il cappello di pile, la mascherina per evitare che mi si gelasse la neve sulla barba, senza bisogno di accendere le luci perche’ tutto e’ bianco.
Una stradina di campagna, la neve intonsa sui campi, il cielo nero ed inquietante, il santuario di Montevecchia illuminato, in lontananza, che sembra sospeso a mezz’aria nella nebbia, il rumore delle falde che cadono dagli alberi che rompe il silenzio, un’atmosfera irreale da estremo nord, come ci fosse un occhio di sole in piena notte.
E la traccia sinuosa delle ruote, con ai lati i segni alternati e regolari dei pedali che si immergono nella neve, e quando ritorni indietro cerchi di ripercorrerla, quella traccia.
Che figata, la neve, di notte, in bici.
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